Nel numero 20 di Verona Fedele, uscito nel maggio 2021, viene riportata l’intervista di un giovane ospite, accolto nel Progetto Casa Solidale Giovani del Samaritano.
«Io, sbandato e senza dimora ho trovato un riferimento nel Samaritano»
«Ciao, sono Giacomo e per anni sono stato un senza fissa dimora», inizia così il racconto di Giacomo (nome inventato per mantenere la privacy, ndr), giovane veronese di 27 anni, davanti agli alunni di scuole superiori o a adolescenti nei gruppi parrocchiali. Giacomo vuole raccontarsi, desidera ripercorrere la sua vita frastagliata e testimoniarla «perché altri giovani non facciano la fine che ho fatto io e non finiscano nel mondo della droga, della criminalità e della strada».
Giacomo ha avuto un’infanzia difficile: la violenza da parte della famiglia di origine, la separazione dai genitori e dai fratelli, fino all’affido ad una famiglia veronese che lo ha cresciuto come un figlio e gli ha voluto il bene che era mancato nei primi anni di vita. «Ho studiato, ho preso la patente, avevo una compagnia di amici, mi trovavo bene con i miei genitori affidatari, ma c’era qualcosa dentro di me che non andava. Non avevo la forza di dirlo a mamma e papà, da loro ero arrivato che ero un bambino e loro mi avevo cresciuto, insieme al figlio naturale, come fossi davvero figlio loro, mi volevano bene, però ad un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di evadere e a 21 anni sono scappato di casa. Ho vissuto da un’amica per un periodo, ma non potevo rimanere a lungo, così sono tornato dai miei genitori affidatari: ho chiesto scusa, ho detto che avevo bisogno di un tempo per me, ho promesso che sarei rimasto con loro. Sono durato una notte: la mattina dopo ho preso uno zaino di vestiti e mi sono ritrovato in strada. Almeno però, a differenza della prima volta, posso dire di averli salutati». Giacomo così va a vivere in stazione, su una panchina, di fianco al binario 1. L’estate non è un problema, ma è l’arrivo del freddo a tormentarlo. «Una notte mi si sono ghiacciati i piedi, ho chiamato l’ambulanza. Il medico in ospedale mi ha detto che se fosse passata qualche altra ora, avrei rischiato di perdere le dita del piede».
La vita di strada è faticosa, logorante, ma dall’altro lato fortifica e Giacomo ancora oggi è convinto che se è riuscito a superare quel periodo, non può temere nulla di peggiore. «Ho avuto paura molte volte e ho imparato a dormire con un occhio sempre aperto, perché non sai cosa ti può capitare. Poi io dormivo su una panchina vicino ad una piccola caserma della polizia, perché mi sentivo protetto, però le insidie erano sempre dietro l’angolo. Una volta due uomini mi hanno svegliato in piena notte minacciandomi per avere una sigaretta. Io ne avevo solo una, recuperata da una passante, non volevo privarmene. Dissi loro: “picchiatemi pure, tanto non ho nulla e non sono nessuno. Se mi picchiate, almeno finirò all’ospedale dove avrò un posto caldo, un letto comodo e anche da mangiare”. Se ne andarono senza nemmeno sfiorarmi».
Giacomo rimane in strada 6 mesi e in questo periodo entra in contatto con la droga, ma poi decide di svoltare e cerca un letto al Samaritano, la casa di accoglienza di Caritas Diocesana Veronese. Rimane al dormitorio pochi mesi, ma poi, vista la giovane età, viene trasferito in alcuni appartamenti di Caritas dedicati proprio a progetti con i giovani senza fissa dimora. Sembra un nuovo inizio, ma non è così, perché il passato torna a bussare. «Mia sorella, la più giovane della famiglia naturale, era scappata dalla famiglia affidataria a cui era stata assegnata e si era ritrovata in strada. Mi ha chiamato e io non potevo lasciarla da sola e così sono fuggito dai progetti del Samaritano per aiutare lei. Ed è finita che così ci siamo messi nei guai entrambi». Giacomo e la sorella girano l’Italia in cerca di fortuna, dormono per strada, lui ruba qualcosa da mangiare ogni giorno dai supermercati pur di tenere in vita entrambi. Trovano rifugio in una comunità del vicentino, da dove lei scappa dopo poco tempo. Anche Giacomo non resiste a lungo e ritorna a vivere in strada a Verona, dove conosce una ragazza, si innamora e fa un figlio con lei: «È uno dei ricordi più dolorosi della mia vita. Lei voleva abortire, ma io non volevo assolutamente uccidere una vita umana. Ho insistito per tenerlo e, una volta nato, lo abbiamo dato in adozione. Spesso sogno quel bambino la notte e spero che quando sarà grande voglia conoscere il suo papà: io sono pronto a rivederlo». Giacomo torna al Samaritano, desideroso di riprovarci, di smetterla con la droga, ma la vita lo mette davanti a nuovi, infelici, scenari: «Al Samaritano ho conosciuto persone molto più vecchie di me, alcuni che avevano anche affari loschi. Io ero fragile e facilmente manovrabile. Ho continuato a drogarmi, ho iniziato a far parte di scippi pur di avere il denaro per la mia dipendenza, non riuscivo a smettere, finché ad inizio 2019 dal Samaritano mi viene data una nuova possibilità». Giacomo viene inserito in un nuovo progetto di Caritas Verona: Casa Solidale Giovani, dedicato a neomaggiorenni e con sede principale in Corte Melegano, un casolare tra Cadidavid e Buttapietra. Qui gli operatori iniziano a lavorare con lui, ad inserirlo in nuovi progetti di inclusione, ad aiutarlo a cercare una occupazione e un po’ di normalità. «Io non credo in Dio, però ogni tanto ci penso e mi domando se ci può essere qualcuno lassù. Io ne ho combinate tante, ho vissuto esperienze negative e che mi hanno segnato, ma ho sempre trovato persone buone sul mio percorso che hanno creduto in me e mi hanno dato altre possibilità. Non so se ci sia lo zampino di Dio in queste loro scelte, però io non credo di meritarmelo». Giacomo smette di drogarsi, lavora attraverso un tirocinio, inizia le testimonianze nelle scuole e nelle parrocchie per parlare di sé, partecipa anche ad alcuni camposcuola diocesani. La vita torna a sorridere e a fine 2019 viene inserito in un appartamento di Caritas in attesa di raggiungere la tanto sperata autonomia. «Quando tutto sembrava andare bene, sono ricaduto. Non so perché: l’inizio del mio 2020 è stato disastroso. Ho rubato nuovamente, ho ricominciato a drogarmi, ho visto di nuovo il buio. Ma ancora una volta il Samaritano era lì e ha creduto in me: ho letto la storia del buon samaritano e credo che il nome di questa cooperativa sia proprio azzeccato. Mi hanno dato l’ennesima chance per rimettermi in piedi. Il coronavirus ha fatto il resto: mi ha costretto a stare chiuso in casa, ho di nuovo smesso con la droga, con le cattive compagnie e ho iniziato a cercare lavoro ed un appartamento. Adesso è il momento di cambiare vita davvero: entro fine anno lascerò il progetto e camminerò con le mie gambe. Mi sento pronto e mi vedo con il mio lavoro, un mio appartamento e magari una bella fidanzata con cui condividere il futuro».